"Team Europa" - Risposta globale dell'UE alla Covid-19 a sostegno dei paesi partner e delle popolazioni fragili

11/04/2020 - Il coronavirus tiene in balia non solo l'Europa ma l'intera comunità internazionale e rappresenta un nemico comune per tutto il mondo, un nemico che possiamo sconfiggere soltanto attraverso una strategia globale e un coordinamento transfrontaliero. E se è chiaro che dobbiamo mobilitare tutte le nostre risorse per combattere il virus in casa nostra, è giunto il momento di volgere lo sguardo anche al di là delle nostre frontiere, in particolare al continente africano nostro fratello e al vicinato meridionale, nonché ai Balcani occidentali, al Medio Oriente e a parte dell'Asia, dell'America latina e dei Caraibi. Perché la solidarietà non deve essere una parola priva di senso e perché, fino a quando non sarà stato eliminato ovunque, il virus continuerà a rappresentare una minaccia per tutti noi.

 

Una priorità della solidarietà globale dell'UE nella lotta contro il coronavirus è quella di aiutare i più vulnerabili nei paesi in via di sviluppo e nelle zone di conflitto.

Per manifestare la sua solidarietà a livello mondiale, l'UE deve innanzitutto assistere i più vulnerabili nei paesi in via di sviluppo e nelle zone di conflitto, come ad esempio i 70 milioni di persone vittime di sfollamenti forzati in tutto il mondo, molte delle quali sono prese tra i due fuochi della guerra e della pandemia, oppure i paesi con sistemi sanitari carenti, privi di accesso all'acqua pulita per tutti e di reti di sicurezza funzionanti e le cui infrastrutture sono state distrutte dai conflitti. In tali contesti, le conseguenze della pandemia rischiano di essere devastanti. Questo vale in particolare per l'Africa.

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Provate a pensare a che cosa significhi praticare il distanziamento sociale o restare a casa nelle baraccopoli di tanti paesi del mondo. Quando si è costretti a guadagnarsi da vivere ogni giorno in un'economia informale, restare a casa può significare morire di fame. Come ha spiegato Ricardo Hausman, economista presso la Kennedy School, se il rischio di contrarre l'infezione uscendo di casa ogni giorno per guadagnarsi il pane è del 10 % e la probabilità di morire di fame restando a casa è del 100 %, la scelta è chiara. In alcuni paesi in via di sviluppo i lavoratori dell'economia informale rappresentano tra il 50 % e l'80 % della popolazione attiva. Ecco perché le persone che vivono in baraccopoli sovraffollate, ossia un terzo della popolazione mondiale, sono le più minacciate dalla pandemia. In tali condizioni, la rapidità della risposta economica alla crisi sanitaria è fondamentale.

Esaminiamo alcuni dati per sottolineare la fragilità dei sistemi sanitari di certi paesi. Il numero di medici pro capite in Europa è, in media, 35 volte superiore a quello dell'Africa, i cui ospedali pubblici dispongono in media di soli 1,8 posti letto ogni 1 000 abitanti (circa il triplo in Europa). Senza parlare delle unità di terapia intensiva o di apparecchiature come i respiratori.

Mentre nei paesi sviluppati la crisi sanitaria precede quella economica, in molti paesi in via di sviluppo accade il contrario. Secondo una relazione pubblicata due giorni fa dalla Banca mondiale, la pandemia ha innescato la prima recessione nell'Africa subsahariana da 25 anni a questa parte. Alcuni paesi devono già fare i conti con una massiccia fuga di capitali, un calo degli introiti del turismo o delle materie prime, in particolare il petrolio, e una diminuzione delle rimesse. Quest'anno il ritiro di capitali stranieri dai paesi emergenti supera già 60 miliardi di dollari, pari al doppio del livello raggiunto durante la crisi finanziaria del 2008‑2009. In sintesi, l'effetto combinato della crisi sanitaria e della crisi economica è già una realtà e rischia di diventare ancora più catastrofico. Per tutti questi motivi, questa settimana la Commissione europea e il Servizio europeo per l'azione esterna si sono adoperati per varare, insieme agli Stati membri e alle istituzioni finanziarie dell'UE, un pacchetto di 20 miliardi di euro inteso ad aiutare i paesi partner a combattere la pandemia di coronavirus e a fronteggiarne le conseguenze. Il pacchetto "Team Europa" intende sostenere i paesi più vulnerabili e le persone maggiormente a rischio nel vicinato dell'UE, soprattutto in Africa, ma anche nel Pacifico, in America latina e nei Caraibi. Purtroppo, siamo giunti al termine del ciclo di bilancio settennale dell'UE e ciò significa che abbiamo dovuto riorientare le risorse esistenti. Il pacchetto combina risorse provenienti da programmi esistenti (circa 11 miliardi di euro), oltre al sostegno fornito da istituzioni finanziarie quali la Banca europea per gli investimenti e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (5 miliardi di EUR), e dagli Stati membri dell'UE (4 miliardi di euro).  

Ecco alcuni esempi di questo sostegno finanziario: 50 milioni di euro sono destinati a contenere la diffusione del virus in Nigeria; 240 milioni di euro andranno alla Giordania e al Libano per sostenere le famiglie locali vulnerabili e i rifugiati siriani; 10 milioni di euro aiuteranno l'Etiopia a incrementare il numero di laboratori diagnostici, kit per analisi e centri di cura. Abbiamo stanziato 8 milioni di euro a favore dei Caraibi da destinare a dispositivi di protezione, materiale da laboratorio, personale, terapie e vaccini. Inoltre, l'UE ha già mobilitato fondi pari a 38 milioni di euro per fornire un sostegno immediato al settore sanitario nei Balcani occidentali.

La crisi del coronavirus non avrà effetti omogenei e spesso le persone più duramente colpite saranno quelle che vivono già al di sotto della soglia di povertà. Inoltre, la pandemia evidenzia la disuguaglianza di genere in tutte le sue forme. Le donne e le ragazze sono particolarmente esposte al fenomeno e alcuni paesi segnalano che la violenza domestica è raddoppiata dall'inizio della crisi. Nel contempo, molti posti di lavoro occupati da donne e molte imprese femminili, già precari all'inizio della crisi, corrono un rischio sproporzionato. Inoltre, il numero di donne che lavorano nel settore dell'assistenza è nettamente superiore a quello degli uomini. Secondo alcune stime, le donne rappresentano il 70 % circa del personale sanitario e mettono in pericolo la propria vita quando curano i malati di coronavirus.

Insieme all'ONU, stiamo mettendo in guardia i governi e la società civile contro l'impennata di violenza nei confronti delle donne. Stiamo offrendo altresì un aiuto concreto per potenziare le linee telefoniche di assistenza esistenti e dotare di mezzi adeguati le squadre che operano nei settori della sanità, della polizia, della giustizia e della protezione sociale a favore di donne e ragazze.

Troppo spesso i minori sono le vittime invisibili di questa pandemia e corrono maggiori rischi di sfruttamento, violenza e abusi. La chiusura delle scuole ne limita l'accesso non solo all'apprendimento, ma anche ai programmi nutrizionali attuati nelle scuole e all'acqua pulita. L'UNICEF ha avvertito che il rischio di abusi su ragazze e ragazzi è più elevato che mai. Grazie al nostro partenariato di lunga data con l'UNICEF, abbiamo contribuito a fornire in oltre 60 paesi assistenza volta a garantire protezione dei minori, istruzione in situazioni di emergenza e sostegno psicosociale.

La COVID-19 potrebbe inoltre aumentare il rischio di incitamento all'odio e alla violenza nei confronti di gruppi e minoranze già vulnerabili. Dobbiamo prepararci a lottare contro l'aumento della stigmatizzazione, dell'incitamento all'odio e della xenofobia. È anche per questo che i nostri sforzi tesi a contrastare la disinformazione sulla pandemia sono così importanti.

L'UE, insieme ai suoi 27 Stati membri, difende strenuamente una risposta multilaterale coordinata. Abbiamo aderito con convinzione all'appello del Segretario generale dell'ONU a favore di un cessate il fuoco globale e contribuiamo attivamente a prevenire l'intensificarsi della violenza durante la pandemia. Il pacchetto "Team Europa" di questa settimana, volto ad assistere i nostri partner e a proteggere le persone vulnerabili, fa parte di questo sforzo costante. La prossima settimana porteremo questo messaggio al G20.

 

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